Appuntamento al Mausoleo di Cecilia Metella per una visita lungo un brevissimo tratto della via Appia antica, all’altezza del III miglio dove sorse il Castrum Caetani.
Accompagnati da Emanuele Gallotta abbiamo ripercorso la storia della regina viarum, fatta costruire nel 312 A.C. dal censore Appio Claudio per garantire un rapido spostamento delle truppe verso sud. Il suo prolungamento da Capua fino a Brindisi era dovuto invece all’esigenza, più squisitamente commerciale, di creare un collegamento verso la Magna Grecia e l’Oriente, verso la ricchezza e la raffinatezza di quelle culture.
Il possedimento dei Caetani sorse in un’area suburbana che all’inizio del ‘300 fu oggetto di acquisizione latifondista per volere di papa Bonifacio VIII, al secolo Benedetto Caetani, uno dei grandi pontefici del basso Medioevo. Il Castrum si inscrive all’interno della politica territoriale che il papa perseguì per consolidare il prestigio e la rendita economica del suo casato. Ne fu beneficiario suo nipote, Francesco Caetani. Questa sorta di cittadella fortificata prese vita in soli due anni e, nonostante le spoliazioni, ancora oggi si possono distinguere le componenti principali costituite da una cinta di mura con torri, un elegante palazzo collegato al mausoleo di Cecilia Metella, la chiesa di San Nicola a Capo di Bove.
Il monumento sepolcrale è un alto cilindro rivestito da lastre di travertino su basamento quadrato rifunzionalizzato dai Caetani come torrione principale di difesa decurtandolo del coronamento conico, al posto del quale venne costruito un muro circolare merlato. La camera sepolcrale custodiva il corpo di una patrizia romana, di cui l’iscrizione non magnifica le virtù ma solo le autorevoli ascendenze familiari: figlia di Quinto Metello Cretico e moglie di Crasso (probabilmente figlio del Crasso triumviro con Cesare e Pompeo).
La chiesa di San Nicola, piccolo edificio di culto a singola navata caratteristico nella suddivisione interna ad archi a diaframma, particolare architettonico che abbiamo già visto con Emanuele in una precedente visita all’abbazia di Fossanova.
La cinta muraria è edificata con materiale tufaceo e conglomerato cementizio, intervallata da diverse torrette difensive; il paramento è meno accurato di quello degli edifici abitativi in cui la cosiddetta “opera a saracinesca” (tufelli regolari) parla ancora della tipica “eleganza” della rinascita del XII secolo in cui si cercava di imitare i modelli antichi (classici, ma soprattutto paleocristiani)
Le abitazioni dI coloro che lavoravano nelle campagne circostanti e godevano della protezione della fortificazione non sono a vista ma sono state oggetto di recenti scavi e analisi archeologiche.
A completamento di una visita dettagliata ed esaustiva, con opportune soste all’ombra, Emanuele ci ha raccontato anche l’importante lavoro di ricerca svolto dagli archeologici tra ‘800 e inizi ‘900 come Luigi Canina e Antonio Muñoz, che sono i protagonisti (e i responsabili…) dell’attuale configurazione del complesso, compresa la musealizzazione dei reperti funerari ed epigrafici, naturalmente discutibile secondo parametri per noi più consueti, ma sicuramente di un notevole fascino accresciuto da un paesaggio che non ha eguali.











