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Animali/IV – La donnola e l’ermellino

Galanthis è una giovane bionda, flava comas, che assiste Alcmena, madre di Ercole, al momento della nascita “laboriosa” dell’eroe, figlio suo e di Zeus. La stessa Alcmena, nelle Metamorfosi di Ovidio, racconta la vicenda alla nuora Iole che sta per partorire, augurandole maggior fortuna nel travaglio. Il suo, dice, era stato dolorosissimo, lungo sette giorni e sette notti a causa di Era, gelosa di lei, che aveva voluto fare un dispetto a Zeus: egli aveva proclamato che chi “in quel giorno” fosse nato “dalla sua stirpe” sarebbe stato il sovrano più potente. Con l’aiuto di Lucina, Era fece in modo di ritardare il parto di Alcmena e di accelerare quello di Nicippe, moglie di Stenelo (anch’egli della stirpe di Zeus), che darà alla luce Euristeo. Ma Galanthis trovò uno stratagemma astuto e geniale. Nei suoi andirivieni dentro e fuori la stanza della partoriente aveva notato Lucina che, seduta all’esterno della casa, si teneva le ginocchia allacciate con le braccia. Era proprio questo “nodo” che rendeva impossibile ad Alcmena di “sciogliere” il proprio parto. Galanthis, facendo finta di non riconoscerla, la invitò a gioire perché Alcmena aveva infine partorito e lei e il bambino stavano bene. Dalla sorpresa, Lucina balzò in piedi e, così facendo, sciolse le braccia dalle ginocchia. Il nodo si slegò e Alcmena riuscì a liberare Ercole dal suo grembo.

Purtroppo Galanthis fece un errore: rise. Non si ride degli dei, soprattutto non si ride dopo aver giocato un tiro ad Era. Il suo nome diventò il suo destino: Galé, la donnola. Le viene conservata l’agilità ma visto che ha aiutato con bocca menzognera una partoriente, viene condannata a partorire dalla bocca. Poi Ovidio aggiunge “e, come prima, frequenta le nostre case”. Dunque la donnola esisteva già come animale domestico? Non è dato saperlo, ma non si può pensare di razionalizzare il mito, anche se per la verità Aristotele ci aveva provato, riconducendo questa faccenda del partorire dalla bocca all’osservazione che la donnola trasporta i figli piccolissimi in bocca da una tana all’altra.

Nonostante questo mito davvero interessante, con la nascita dell’eroe “civilizzatore”, la mescolanza della progenie di Giove (Stenelo e Alcmena sono entrambi imparentati con Perseo, figlio di Zeus), il parto doloroso e ritardato, la vicenda di Galanthis/galé praticamente è assente dalle immagini: si trova solo in alcune incisioni tra ‘600 e ‘700.

Perché ? Non è facile rispondere a questo quesito. Senza la pretesa di essere esaustivi (ci muoviamo nell’imprendibile mondo dell’allegoria) possiamo azzardare due spiegazioni. Una è legata al collegamento della donnola con il parto e di conseguenza a quel diaframma tra la vita e la morte che ne fa, in alcune versioni del mito, un animale sacro a Ecate, al mondo infero, raramente rappresentato. Un’altra è legata, naturalmente, al mondo dei Bestiari. Nel Fisiologo, testo del II secolo d.C. che dei Bestiari è il capostipite, con un singolare rovesciamento rispetto alle fonti classiche, si dice che la donnola concepisca attraverso la bocca e partorisca attraverso le orecchie, simile a coloro che disperdono dalle orecchie la parola di Dio dopo averla ascoltata. Basta, non dice altro il Fisiologo. Isidoro da Siviglia (VI-VII secolo) smentisce questa credenza, ma lo stigma sulla povera donnola è gettato, l’animale nei Bestiari è immondo e malvagio, e rappresenta l’uomo di fede non salda.

Bestiaire de Guillaume Le Clerc, XIII sec. Ms. fr.14969, f.46r, Paris, Bibliothèque Nationale

Svelta, astuta, colpisce con ferocia animali più grandi di lei, si insinua nelle tane altrui, ha una sessualità a dir poco strana. È insomma un animale selvatico da tenere a bada. Nel dipinto di Giovanni Mansueti la vediamo apparire nell’universo di animali dal variegato simbolismo positivo/negativo, proprio sotto il manto cardinalizio lasciato su uno sgabello dal santo in penitenza.

Giovanni Mansueti, San Girolamo in penitenza, 1520-25, Bergamo, Accademia Carrara

La troviamo poi spesso in forma di accessorio di abbigliamento, in condizione – diciamo così – di non più nuocere, indossata da signore e signorine di lignaggio. Gli sguardi severi e autocompiaciuti di questa mini-carrellata di ritratti sono molto esplicativi: la propria controllata morale e la familiare disciplina hanno neutralizzato gli istinti, e di ciò si fa mostra.

Francesco Beccaruzzi, Ritratto di giovane donna, 1545 a, Bergamo, Accademia Carrara
Alessandro Allori, Isabella de’ Medici (figlia di Cosimo I e di Eleonora di Toledo), 1550-55, Firenze, Uffizi
Bernardino Luini, Ritratto di signora, 1519-20, Washington, National Gallery
Lorenzo Lotto, Lucina Brembati, 1506, Bergamo, Accademia Carrara

Vi chiederete: ma sono tutte di donnole le pelli qui esibite ? Difficile rispondere. La famiglia dei Mustelidi si compone di 5 sottofamiglie che raggruppano circa 24 generi. Un labirinto di esseri, lontre, tassi, faine, donnole, puzzole, per non parlare dello zibellino, particolarmente pregiato perché il pelo è ugualmente morbido in tutti e due i versi, e del visone, forse il più gettonato e presente anche sulle spalle della bella Anthea di Parmigianino … Esseri accomunati da alcuni tratti caratteristici tra cui le dimensioni (piccole o medie), gli arti bassi, le unghie non retrattili e un simile apparato dentario, udito e olfatto molto sviluppati, e per lo più spesso confusi tra loro.

La donnola, mustela nivalis, appartiene alla famiglia dei Mustelidi, in particolare alla stessa sottofamiglia dei Mustelini e allo stesso genere, Mustele, dell’ermellino, mustela erminea. La prima ha un colore fulvo, il secondo un bruno rossiccio che muta in bianco d’inverno. Bei predatori entrambi.

Ma per l’ermellino il bianco manto invernale ha senz’altro giocato a favore. Secondo il Fior di Virtù, testo dell’inizio del 1300, ripreso da Leonardo da Vinci nel suo Bestiario, la bestiola è simbolo di moderazione perché mangia una sola volta al giorno. Ma ha un’altra caratteristica: preferisce farsi prendere dai cacciatori piuttosto che rifugiarsi in una tana infangata.

È il co-protagonista di almeno due ritratti molto celebri, La dama con l’ermellino di Leonardo da Vinci e il cosiddetto “Cavaliere” (in realtà si tratta di un Capitano) di Carpaccio.

Il contenuto simbolico è lo stesso, la funzione simbolica diversa, perché diverso è il contesto. Ma con alcuni punti di contatto. Il gioco è molto intricato, ci si scuserà l’inevitabile semplificazione…

Nel caso del ritratto di Cecilia Gallerani, eseguito intorno al 1489, i significati si intrecciano tra le qualità dell’effigiata, amante di Ludovico il Moro, madre di suo figlio Cesare, che sfoggia l’ermellino come animale eponimo (Galé/Gallerani), e quelle del suo amante, che in una rima dei suoi tempi viene così argutamente descritto: “tutto hermellin è ben, se un nome ha nero”. L’ermellino che muore piuttosto che sporcarsi è emblema di rettitudine estrema, perfetta impresa per chi vuole difendersi dalla maldicenza, come nel caso dello Sforza, la cui condotta politica fu quanto meno spregiudicata, soprattutto nei confronti degli Aragonesi dai quali, con perfetta circolarità, aveva ricevuto l’investitura di Cavaliere dell’ordine … dell’Ermellino. La dama peraltro è tra le prime a sfoggiare una mise in perfetto stile napoletano-spagnolo, portata di moda dall’arrivo di Isabella d’Aragona alla corte di Milano.

Il velo dell’allegoria e dell’avvenenza dell’effigiata non hanno impedito a Federico Zeri di vedervi “un’impressionante intelligenza parallela, acuta e feroce”. Come dargli torto.

Leonardo Da Vinci, Ritratto di Cecilia Gallerani, Dama con l’ermellino, 1498 ca. Cracovia, Museo Nazionale, collezione Czartoryski, Castello reale di Wavel, Intero e particolare

Altro clima si respira nel fuori-tempo del cosiddetto “Cavaliere Thyssen” di Carpaccio che di recente si è proposto di identificare con Marco Gabriel, comandante della fortezza di Modone in Morea (l’attuale Peloponneso). Nel febbraio 1499 la fortezza è assediata dai Turchi. Il Gabriel probabilmente sottovaluta la forza dell’armata nemica che nel frattempo, durante l’estate, conquista Lepanto e minaccia Modone che difatti viene presa un mese dopo Lepanto, nell’agosto 1499. Del Capitano Gabriel non si ha notizia. Poco più tardi si sa che è prigioniero. Poi arrivano notizie di morti e di liberati tramite pagamento di riscatto. Marco Gabriel è tra questi, a Venezia si parla di tradimento. Ma una lettera del 1501 riporta la notizia che il capitano è morto e che è stato decapitato. Aveva 35 anni.

La spada rinfoderata, i fiori dal simbolismo funebre o legato ai vincoli di memoria, la lotta in cielo tra l’aquila e l’airone, da ultimo l’infinita malinconia del giovane fanno pensare che qualcuno della famiglia abbia voluto offrirgli il riscatto di una memoria dipinta. L’ermellino che preferisce morire piuttosto che sporcarsi è presso di lui, a ricordare a tutti e per sempre la sua incorruttibile e pura fedeltà.

Vittore Carpaccio, Ritratto di un capitano, 1502 ca, Madrid, Museo Thyssen – Bornemisza
Intero e particolare con ermellino e cartiglio con scitta Malo mori quam foedari: “preferisco morire piuttosto che sporcarmi

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