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Animali VII / L’Istrice, il Porcospino, il Riccio

Abbiamo pensato di parlarvi di entrambi gli animali, l’Istrice (Hystrix cristata, volgarmente detto porcospino) e il Riccio (Erinaceus europeus) perché nei testi antichi, a parte Plinio e pochi altri, sono spesso confusi e lo stesso succede nelle immagini. Un raro esempio di distinzione è in Tintoretto: nella sua Creazione degli animali messa in apertura, i due animali si fronteggiano, riconoscibili.
In più la traduzione delle fonti antiche, a partire dalla Bibbia, ha fatto girare la testa a più di un esegeta alle prese con la nomenclatura naturalistica.
Prendiamo il salmo 104, uno tra i più belli, che descrive la gloria di Dio nel Creato attraverso la magnificenza della natura con un respiro potente, che richiama quello della Genesi. Sembra di vedere delle scene di paesaggio, ognuna con i suoi protagonisti vegetali e animali: i cedri del Libano, i cervi, i piccoli leoni … , ritratti nel loro ambiente, ciascuno descritto mentre prospera secondo la sua natura. E così: “Gli eccelsi monti sono per gli stambecchi, agli iràci sono dimora le rocce”…
Come direbbe Alberto Angela: “già, ma chi sono questi iràci?”. Si tratta di piccoli roditori simili a scoiattoli la cui presenza nel salmo è dovuta a un complicato passaggio lessicale dall’ebraico al greco. San Girolamo prova a chiarire, e infatti in latino il passo suona così: “Petra refugium herinaciis”. Cioè: “La roccia è rifugio per i ricci”. Sorvoliamo sulle questioni filologiche, lasciamo l’iràce al suo destino e seguiamo senz’altro Girolamo anche perché è proprio quest’abitudine a vivere riparato in luoghi rocciosi ad aver attivato molti dei significati simbolici del riccio, soprattutto sul versante religioso.
Ed ecco infatti il commento di Agostino al salmo: la roccia in cui si rintana il riccio è il riparo che il Signore offre al peccatore che si umilia, il luogo in cui pentirsi dei propri peccati che sono, evidentemente, le spine. Molte sono le riprese di Agostino durante il Medioevo, tanto che il riccio diviene simbolo di timidezza e di penitenza, in sintonia con la lepre, cui viene spesso avvicinato per via dei luoghi che abita e per il carattere scontroso.

Il pittore casentinese del tardo Trecento Giovanni del Biondo lo inserisce più di una volta in rappresentazioni di S. Francesco nell’aspra solitudine eremitica in cui sta ricevendo le stimmate.

Giovanni del Biondo, Stimmate di S. Francesco, 1360 ca., Castelfiorentino, San Francesco
Giovanni del Biondo, Stimmate di San Francesco, 1379, Predella del Polittico con la Madonna e i Santi nella Cappella Rinuccini in Santa Croce, Firenze

Anche Francesco Ubertini, detto il Bachiacca, posiziona un istrice in bella vista (si fa per dire, visto il muso arcigno dell’animale) presso quella che sembra essere una genetta nella sua “Raccolta della Manna”, cibo miracoloso che Dio offrì al suo popolo affamato tra le aride pietre del deserto. Nel dipinto campeggia anche il famoso “camelopardo” cioè la giraffa donata dal sultano mamelucco d’Egitto a Lorenzo il Magnifico.

Bachiacca, La raccolta della manna, 1540-55, Washington, National Gallery

E forse nel Parnaso di Andrea Mantegna, eseguito per lo studiolo di Isabella d’Este, il piccolo dirupo popolato di animali, chi più chi meno rintanato, reso umido dalla fonte Ippocrene appena sgorgata dal colpo degli zoccoli dell’ingioiellato Pegaso, sta a significare che la danza delle Muse si svolge in un luogo roccioso. Sulla cima di un’arco anch’esso roccioso, domina Venere, allegoria della “domina” d’eccellenza che commissionò il dipinto. 

Andrea Mantegna, Parnaso, 1497, Parigi, Louvre

La timidezza e l’abitudine a stare riparato è forse l’unico aspetto positivo – simbolicamente parlando – di questo munito esserino. Perché poi c’è una caratteristica assolutamente leggendaria, tramandata da Plinio, che viene recepita da tutti i bestiari, a partire dal capostipite, il Fisiologo: per approvvigionarsi di cibo per l’inverno i ricci si rotolano sopra i frutti che giacciono per terra. Plinio non specifica ma questi frutti sono identificati nei bestiari con le mele o con l’uva. Così facendo i frutti sono infilzati dalle spine e comodamente portati nelle cavità degli alberi o in piccole grotte Non è chiarissimo come vengano poi sfilati ma quel che importa è che l’assillo educativo-moralizzatore degli autori dei Bestiari ha a questo punto la strada spianata: “Tu, o fedele, rimani accanto alla vera Vite spirituale … E come potresti lasciare che il riccio, lo spirito malvagio, si arrampichi nel tuo cuore e ti lasci spoglio come il grappolo d’uva, senza più acini in te?”. Ecco fatto: un altro animale arruolato senz’altro nella schiera del demonio …

Bestiario latino, Cambridge, The Fitzwilliam Museum Library, ms. 379, f.13

Quando però ci si muove nel campo delle imprese, dei motti e degli emblemi, il riccio sembra avere funzioni diverse, così nelle Devises Heroïques di Claude Paradin, il motto “Magnum vectigal”, abbinato alla stessa immagine del riccio dal dorso infilzato di acini si riferisce ai grandi proventi che si acquisiscono non avendo ricchezze in partenza ma mettendo a frutto e consumando con parsimonia quelle che si sono guadagnate (magari con l’astuzia …).

Claude Paradin, Devises heroïques, 1557, De Tournes et Gazeau, Lione

Ma l’impresa più famosa perché con perfetta e arguta sintesi unisce immagine e motto è quella del re di Francia Luigi XII. È l’immagine di un istrice coronato, con il motto “Cominus et eminus”. Significato stringato e quantomai minaccioso: “ da vicino e da lontano”, sottinteso: “colpisco”. È Plinio che menziona questa capacità (anch’essa leggendaria) dell’istrice di scagliare lontano i suoi aculei, tendendo la pelle. Da vicino peraltro, sarebbe da sciocchi addirittura pensare di toccarlo.

Come commenta Paolo Giovio, nel suo libro sulle imprese: «Per il che [il Re di Francia] dimostrava che l’arme sue eran pronte e gagliarde da presso e da lontano»

Rilievo con porcospino coronato, affiancato dalle iniziali del re e della moglie, Anna di Bretagna, Castello di Blois, fine XV, inizi XVI secolo
Paolo Giovio, Dialogo dell’imprese militari e amorose, a cura di M. L. Doglio, Roma, 1978, p. 49.

La leggenda ha una lunga durata: la casa editrice Salani, che nel 2017 ha festeggiato il trentennale, pubblica una collana, “Gli Istrici” , che ha introdotto in Italia autori stranieri come Roald Dahl, Astrid Lindgren, Tove Jansson, Luis Sepúlveda. Libri per bambini di tutte le età: Salani diceva che andavano bene «dai tre agli ottant’anni». Sono come dei tascabili per adulti, con illustrazioni raffinate, una nota biografica sull’autore prima del frontespizio e una quarta di copertina con il contenuto del libro. Questo stile ha fatto scuola ed è stato poi seguito poi da molte altre case editrici.

Nella quarta di copertina di ogni libro, l’ “impresa” è questa: due istrici coda a coda con la scritta:

«Dice una leggenda che gl’istrici scagliano i loro aculei, come frecce, su chi li stuzzica. Provate a stuzzicare i nostri Istrici ed essi vi pungeranno: colpiranno la vostra fantasia e il vostro cuore, divertendovi, affascinandovi e spaventandovi. Li abbiamo cercati in tutto il mondo e ora sono qui per pungervi, pungervi».

Vi salutiamo con una riflessione filosofica, dai “Parerga et Paralipomena” di Arthur Schopenhauer:

Alcuni porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono il dolore delle spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali: il freddo e il dolore. Tutto questo durò finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.

Saggio maestro di vita, il porcospino, in attesa di poterci riabbracciare con fiducia …

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