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Foto della Visita al Villino Ximenes – 15 Giugno 2025

La Roma post-unitaria vede nel piano regolatore del 1883, il primo ad essere legge dello Stato, lo scenario in cui si configura la sua modernizzazione in quanto capitale. Il noto sacrificio della cosiddetta cintura verde, seguito dalla altrettanto nota “febbre edilizia”, permise la costruzione di quartieri moderni, nuove ampie vie ben regolate, edifici pubblici. Certo è che Roma fu così privata irrimediabilmente di quel connubio tra centro monumentale e fascia suburbana a ville, vigne e orti che conservava con continuità dall’epoca classica a tutto il ‘700 e buona parte dell’’800.

Matteo Piccioni ci ha guidato ieri, in una mattinata più che calda, in un piccolo percorso nel quartiere Nomentano, intorno a Piazza Galeno, propedeutico alla nostra visita al Villino Ximenes. In via di Villa Patrizi abbiamo potuto osservare le varie declinazioni della tipologia del villino, inteso come abitazione di un’alta borghesia che si pensava e si mostrava moderna. Dunque edifici di gusto eclettico (neo-rinascimentale e barocco insieme), sorta di castelletti neo-medievali o magioni in stile merovingio con tanto di finestrone a rosone…

Poi Matteo ci ha dilettato con un’altra puntata di “precisazioni sul Liberty”: così potremmo chiamare la sua missione di insegnarci a distinguere storicamente fasi e stili dell’architettura a cavallo tra i due secoli che ci precedono. Anzitutto l’Art nouveau francese, di cui il Liberty è una delle manifestazioni (le altre sono il Modernismo iberico, lo Jugendstil, la Secessione..) ha in Italia le sue espressioni precipue solo a Torino e – in parte – a Milano.

Il Villino Ximenes, costruito da Ernesto Basile, è pertanto un rarissimo esempio, unico a Roma, di Liberty, nella sua accezione siciliana: se ne hanno diffusi indizi nella struttura cubica della palazzina, memore dell’architettura arabo-normanna, nonché nelle tante maioliche arabeggianti che ornano le decorazioni architettoniche esterne. Ma queste inflessioni si coniugano mirabilmente, soprattutto negli interni, con elementi desunti dalla Secessione viennese.

Il padrone di casa fu Ettore Ximenes, scultore monumentale, autore della famosissima quadriga in cima al “Palazzaccio”. All’interno, un ingresso rettangolare voltato con eleganti (ma un po’ ingenui) dipinti ispirati ai cicli cavallereschi medievali, con un fondo di racemi azzurrini dalle fitte volute.

Ma è nella sala da pranzo il vero trionfo del Liberty: elementi botanici in cui si osserva la passione contemporanea per le prime osservazioni al microscopio delle piante e una rappresentazione degli elementi vegetali che predilige il bocciolo, il germoglio, la radice… E poi l’elegante sfarzo delle code di pavone delle vetrate interne, vera e propria ossessione decorativa, nata in Inghilterra (forse per derivazioni coloniali: vedi India?) e diffusasi a macchia d’olio. Difficile resistere a uno schema decorativo che coniuga raffinatezza cromatica e disegno lineare simmetrico ed elegantissimo.

E poi, forse la cifra più siciliana, sul soffitto una sorta di “gloria” di giovani e candide fanciulle danzanti reggono una corona di fiori che i commensali potevano pensare a loro destinati: ricercata finzione.

Il salone grande, di certo rimaneggiato negli anni, in particolare privato di una bellissima fontana e di un camino, conserva un soffitto a minuti cassettoni di legno con fondo decorato in pittura che è un esempio tipico della moda, anche questa pervasiva, dei soffitti di primo Cinquecento, come quelli eseguiti da Pinturicchio per le residenze dei Borgia.

Niente giardino all’esterno e dunque niente frescura ad accompagnare la nostra uscita ma la consapevolezza che la prossima volta che Matteo ci farà la sua lezione magistrale sul Liberty, saremo un po’ più preparati e preparate…

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