Il gesto nell’arte / II – Dal gesto al segno

Claude Monet, Le Ninfee, 1926, Paris, Musée de l'Orangerie

Claude Monet, Le Ninfee, 1926, Paris, Musée de l'Orangerie

Dal gesto al segno. Piccola storia della pennellata nell’arte moderna

Cento anni fa Claude Monet iniziava a lavorare al suo ultimo, immenso, capolavoro, le grandi Ninfee dell’Orangerie, di cui vi mostriamo una veduta d’insieme in apertura. Vi è un luogo comune nella storia dell’arte moderna che vede nel Monet delle Ninfee monumentali un anticipatore delle ricerche informali che si sono sviluppate in Europa e Stati Uniti nel secondo dopoguerra. I punti di contatto sono a ben vedere molteplici: tele di dimensioni ambientali, mancanza di un centro e di una profondità ben definita, un horror vacui che occhieggia motivi ornamentali vibranti e decorativi …

Quello che però fa di Monet un anticipatore dei modi dell’informale e in particolare di alcuni modi dell’espressionismo astratto americano, è piuttosto la pennellata che si fa gesto. Se nell’opera definitiva solo in alcuni punti l’artista lascia intravedere la sua presenza, è negli studi dal vivo del suo giardino di Giverny (ora al Musée Marmottan di Parigi) che il gesto del pittore si fa violento e agitato, vorticoso, performativo, nel delineare le increspature dell’acqua, le nubi, i fiori, le fronde dei salici.

Le pennellate apertamente gestuali di Monet hanno percorso un lungo cammino, sono nate dalle pennellate “svirgolate” degli anni specificatamente impressionisti (vale a dire degli anni Settanta dell’Ottocento), sono diventate rivoli di colore nelle celeberrime serie successive (le Cattedrali, i Covoni, i Pioppi) fino a tramutarsi, in questi studi dei primi anni Venti, in puro gesto, impronta e traccia dell’artista, sua presentazione, piuttosto che strumento di rappresentazione.

Studi di Ninfee (riflessi di salici)

Questo aspetto porta a riflettere su una questione precipua dell’arte della modernità e poi, in parte, della contemporaneità: come dichiarare la presenza dell’artista nell’opera? Come imprimere una espressione del tutto personale e allo stesso tempo istintiva, segno del furor creativo, dell’energia produttiva, dell’impronta, quasi come una firma? Se si guarda all’origine stessa della pittura della vita moderna (e dunque dell’arte moderna), si comprende quanto il rendere evidente il tocco dell’artista sia stato uno degli atti più rivoluzionari compiuti sino agli anni Sessanta del XIX secolo, rielaborando le suggestioni dei grandi, come Turner o Delacroix.

Se si osserva la pittura accademica francese di quegli anni, infatti, emerge un unico dato tecnico incontrovertibile: l’assenza della mano dell’artista. Sono opere caratterizzate da superfici lisce e “leccate”, senza sbavature o smagliature. La pittura doveva apparire come essersi fatta da sé e non doveva emergere nessuna evidenza del suo autore. Una pittura, in altri termini, senza tempo e garante dei valori solidi e imperituri della tradizione che l’Accademia portava avanti.

Ecco dunque che la pennellata “staccata”, il tocco, la virgola, in una parola, il gesto, messo in evidenza sulla tela, costituisce uno dei nodi centrali della riforma operata in quegli anni da alcuni giovani pittori dell’avanguardia parigina, primo timido ma decisivo passo verso la pittura come pura espressione.
Con le avanguardie storiche il gesto libero e il segno da questo generato, sono tra gli aspetti preminenti delle ricerche pittoriche. Il Picasso post-cubista fa del gesto sicuro un marchio di fabbrica: creava, con un unico e continuo movimento della mano, forme archetipiche e universali a un tempo, anticipando – in un celebre video del 1949 – anche gli aspetti performativi che saranno poi centrali nell’Informale internazionale. La dinamica intrecciata di azione e gesto (Action Painting) sarà infatti alla base della sperimentazione e della pratica artistica di Jackson Pollock che nei suoi celeberrimi dripping, ha fatto dell’azione– per antonomasia – la sua poetica essenziale (ed esistenziale).

JACKSON POLLOCK IN AZIONE. FOTO DI HANS NAMUTH

Quanto sia importante il motivo del gesto, e dell’azione da esso generata, nell’espressionismo astratto è evidente – come spesso accade – nelle parodie e nelle prese di posizione antagonistiche che la Pop Art metterà in atto, pochi anni dopo: se Andy Warhol scimmiotta con gli Oxidation Paintings (1977-78) il dripping e il gesto che lo genera, orinando e facendo orinare su tele appositamente trattate, poste a terra, Roy Lichtenstein pone la parola fine sul gesto come atto spontaneo e intuitivo congelando la pennellata nella celebre serie dei Brushstrokes. In questo modo, dipingendo tautologicamente (una pennellata composta di pennellate) il segno zero del gesto pittorico, l’artista lo trasforma in un segno standardizzando, neutralizzando la sua portata istintiva e di traccia personale dell’artista e lo riconsegna al mondo della raffigurazione, circolarmente. Come sintetizzava Lichtenstein: «La pennellata da sola significa già pittura e arte».

Andy Warhol, Oxydation Painting, 1977-78, coll. privata

Roy Lichtenstein, Bushstroke, 1965, London, Tate Modern

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