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Gli dèi dell’Olimpo – I/ Mercurio

Nato nell’ombra di una caverna, Mercurio rappresenta l’immagine classica e immutabile della fanciullezza divina. Suo padre, il potente Zeus, era solito incontrare sua madre, la pleiade Maia, tra gli anfratti del monte Cillene, lontano dagli occhi gelosi di sua moglie Era. 

Il fanciullo divino mostra da subito una personalità poliedrica (“polytropos”, dall’ingegno versatile, è detto in un inno omerico: stesso epiteto di Ulisse, il più mercuriale tra gli eroi).  La sua attitudine per il furto e per l’inganno si mescola a quella per il commercio e per la musica, per la divinazione e l’astronomia. Gioca parecchi tiri ad Apollo, tra cui un furto ingegnosissimo di vacche; inventa quasi in fasce la lira, usando un guscio di tartaruga, e infine il flauto.  Ma il vero prodigio è l’abilità con cui si difende con le parole dalle sue malefatte, ricavando vantaggi piuttosto che punizioni: la sua furbizia e il suo ingegno sono tali da fargli conquistare l’Olimpo come araldo di Giove e di Ade, dio degli Inferi.  In quest’ultima veste accompagna le anime nel loro viaggio verso il mondo dei morti. 

È una divinità dall’ampio campo semantico, liquida come il metallo a cui ha dato il nome. 

Basterebbe il solo caduceo a raccontarne l’instabile ambiguità: una magica asta d’oro sulla quale due serpenti si attorcono e si annodano, una testa contro l’altra.  La bacchetta dai magici poteri, che scaccia e infonde il sonno, è nata il giorno in cui Mercurio, vedendo due rettili lottare, li divise lanciando tra di loro un bastone, che da quel giorno, in ricordo di questo episodio, fu sempre adornato dalle forme intrecciate dei due animali. Il caduceo allude dunque alla capacità mercuriale di equilibrare due forze in conflitto sanando i contrasti. 
Con questa accezione di pacificatore viene rappresentato da Botticelli nella cosiddetta Primavera, dove lo vediamo intento a scacciare le nubi dal limpido cielo primaverile, chiara allusione alla rinascita culturale dell’ambiente mediceo in cui il dipinto fu creato.

Sandro Botticellli, Primavera (1480 ca.), Firenze, Uffizi

Sandro Botticellli, Primavera (1480 ca.), Firenze, Uffizi (part.)

Ma poiché la natura di questa divinità è imprevedibile, anche l’uso del caduceo è del tutto arbitrario. Ovidio ci racconta che un giorno Mercurio, indispettito da Aglauro che, invidiosa della relazione tra la propria sorella Erse e il dio, cercava di impedirgli l’ingresso nella stanza della sorella, non esitò a usare l’aureo caduceo per punirla: dopo aver cercato con “gentilissime” parole di convincere Aglauro a lasciarlo entrare nella stanza, e avendo ricevuto un secco e violento rifiuto, spalancò la porta e la colpì con la bacchetta, impietrendola.

Lei fece per alzarsi, ma le parti che si piegano quando ci sediamo, prese da torpida gravità, non le si muovevano più. Si sforzò, sì, di drizzarsi sul tronco, ma le giunture delle ginocchia si erano irrigidite, un freddo s’era sparso fino alla punta delle dita, e senza più sangue le vene s’erano fatte pallide; […]  Non provò nemmeno a parlare, né se ci avesse provato la voce avrebbe trovato una via d’uscita: ormai il suo collo s’era pietrificato, la sua bocca s’era indurita.
Immobile stava come statua esangue, ma non era di pietra bianca: la sua mente l’aveva sporcata.
 (Ovidio, Metamorfosi, II, 708-832)

La scena viene rappresentata da Veronese che ci mostra Aglauro a terra mentre tenta inutilmente di intralciare l’ingresso di Mercurio nella stanza.  Al centro della scena Erse assiste a quanto sta accadendo. Dietro di lei – forse – l’epilogo: in una nicchia sta Aglauro, ormai divenuta statua di scuro bronzo.

Paolo Veronese, Aglauro, Mercurio ed Erse (1580), Cambridge, Fitzwilliam Museum

Oltre al caduceo altri attributi rendono riconoscibile Mercurio: il pètaso, cioè il cappello da viaggiatore, e i talari, i calzari alati, che gli donano velocità e leggerezza e che lo fanno somigliare, a volte, a un uccello. Così Ovidio, nel prologo della tragedia che abbiamo già illustrato, lo descrive mentre vola nervoso sul gruppo di ragazze tra le quali ha individuato Erse, la fanciulla di cui si è invaghito: Come il nibbio, velocissimo uccello, quando avvista dei visceri: esita finché c’è folla intorno al sacrificio, volteggia in tondo ma senza osare allontanarsi, e avido, muovendo le ali, vola attorno alla sua speranza; così l’agile dio del Cillene, come puntando sulla rocca dell’Attica, sospeso se ne sta in aria sempre nello stesso cielo (Ovidio, Metamorfosi, II, 708-832) .

Mercurio  non teme il conflitto, non teme le forze ctonie e il mondo di Ade che i serpenti simbolicamente rappresentano. Presenzia al passaggio dal mondo dei vivi al mondo dei morti, accompagnando l’anima del defunto nel suo viaggio. Al ruolo di psicopompo, accompagnatore di anime, ci riportano le straordinarie decorazioni a figure rosse di un vaso attico, quello del ceramista Eufronio.
Sulla pancia del cratere è rappresentato il trasporto del corpo di Sarpedonte che, dopo aver combattuto a fianco dei Troiani, viene ucciso da Patroclo. Spogliato delle armi, per ordine di Zeus il suo corpo viene portato in salvo da Apollo e affidato al Sonno e alla Morte perché lo trasportino dove verrà sepolto. Le due personificazioni alate sorreggono il suo corpo nell’abbandono della morte. Mercurio sovrintende con il pètaso, i calzari alati e il suo inseparabile caduceo d’oro. La sua figura, sebbene non citata da Omero, campeggia al centro della scena, rispondendo a un’esigenza di equilibrio, stilistica e semantica.

Cratere di Eufronio, VI sec. a.C., Roma, Museo Nazionale di Villa Giulia

Come si è visto, Mercurio è il dio del logos anche e soprattutto in quanto messaggero della “parola” di Zeus, a volte risolutivo in situazioni di stallo: è lui che convinse Calipso a lasciare andare Ulisse, e non era impresa da poco.

E tuttavia: ermetico, ermeneutica … parole diverse che contengono proprietà del mutevole dio e che rimandano la prima a un sapere occulto “chiuso”, la seconda a un sapere che si svela. Le “persone” del mito, in primo luogo gli dèi, sono tutte polimorfe e molto spesso al loro interno albergano contrari. Mercurio/Ermes in questo senso ne è la quintessenza. Così possiamo spiegare la sua apparizione come emblema del Silenzio, con il gesto che indica la sospensione della parola in vista di un raccoglimento profondo, spirituale.

Achille Bocchi, Symbolicae Quaestiones, 1574

C’è chi ipotizza che nel dipinto di Dosso Dossi le farfalle dipinte da Zeus rappresentino proprio ciò che il loro nome indica: psychai, in greco farfalle ma anche e soprattutto anime, e che dunque il re degli Dèi si stia occupando non di futilità ma di qualcosa di spirituale (la pittura stessa, sembra audacemente dire l’artista).  Allora forse Mercurio in veste “ermetica”, custode del silenzio, è lì per tenere a bada l’incursione di una disturbante loquacità rappresentata dalla donna, variamente interpretata come una Virtù o come Fortuna.

Dosso Dossi, Giove dipinge farfalle con Mercurio e una Virtù (?) (1522-23), Cracovia, Castello di Wavel

Prodigi dell’arte, e di un dio ubiquo ma che allo stesso tempo riesce ad essere – rapidamente – sempre al posto giusto …

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