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Animali dalla A alla Z / IX Il Nautilus

Il Nautilus
(La Natura morta)

N come Nautilus, ma anche come Natura morta.

Arrivati a metà del nostro ciclo sugli animali dalla A alla Z, e non avendo trovato opere d’arte con animali il cui nome comincia con la N, abbiamo pensato di mettere insieme uno strano animale, una sorta di fossile vivente, e un genere artistico che mette in scena … resti di vita vissuta, più o meno fossili.

Sebbene sia difficile stabilire priorità e percorsi, è nel Seicento e principalmente nei Paesi Bassi che si contano gli esempi più straordinari di questo tipo di pittura. Già nella cultura classica si trovano numerose rappresentazioni con soggetti inanimati svincolati dalla figura umana: capostipiti della natura morta si possono infatti considerare sia gli “xenia”, ovvero dipinti che raffigurano doni, in genere frutta, con valenza augurale, sia gli “asarotoi oikoi, ovvero “pavimenti non spazzati”, mosaici con valenza puramente decorativa.

Cesto di fichi, I sec. d.C., Oplontis, Villa di Poppea Sabina
Asàratos òikos, copia romana da un originale ellenistico, II sec. d.C., Musei Vaticani

Poi ci sono i trecenteschi trompe l’oeil di Taddeo Gaddi, o i quattrocenteschi, celeberrimi, finti stipi a tarsia lignea negli studioli di Federico da Montefeltro a Urbino e a Gubbio.

Taddeo Gaddi, Finte nicchie, 1328-1338, Firenze, Santa Croce, Cappella Baroncelli,
Francesco di Giorgio Martini, Giuliano da Maiano, Tarsia dello Studiolo di Federico da Montefeltro, 1478-82, Gubbio, Palazzo Ducale

Più avanti, nel mondo nordico, l’osservazione scientifica, quasi pre-enciclopedica, si associa all’interesse per l’occulto; le meraviglie e le bizzarrie della realtà naturale sono rappresentate per essere analizzate e conosciute ma anche per la valenza simbolica che celano e che viene così messa in luce (per chi ha strumenti per intenderla, beninteso). La corte di Rodolfo II (1552-1612) a Praga è un esempio paradigmatico di questa cultura e gli acquerelli del fiammingo Georg (Joris) Hoefnaghel ne sono l’illustrazione.

Georg Hoefnagel, Allegoria della brevità della vita, 1591, Lilla, Palais des Beaux Arts

Dicevamo che il genere si afferma nel Seicento, il cosiddetto secolo d’oro della pittura olandese, in forte connessione da una parte con l’ascesa sociale di ceti mercantili e commerciali, dall’altra con la definitiva messa in crisi della pittura di storia, il cui fulcro è la figura umana. A ben guardare, lo stesso termine che lo definisce ci può illuminare: in olandese è “stilleven” (in inglese “still life”, in tedesco “Stilleben”), cioè “vita ferma”, e sottolinea uno status del soggetto che è diametralmente opposto a quello della pittura di storia in cui i personaggi devono essere colti nel loro differente agire. Da noi la natura ferma è … morta. Espressione di vanitas, bellezza che sfiorisce, tempo che consuma … non che non ci siano teschi anche nella pittura olandese ma molti, molti di meno …

Ad Haarlem e poi in tutta l’Olanda si afferma inoltre un sottogenere, quello del banketje, ovvero “tavola imbandita”. Effettivamente non si tratta di tavole apparecchiate ma proprio di tavole imbandite, dove i cibi sono ammassati in modo in un primo tempo casuale e via via più ordinato, a mostrare l’opulenza delle ricche abitazioni anche sulle pareti, oltre che sulle tavole dove si consuma il pasto reale. Il monito che l’abbondanza potrebbe scemare (i mercati subiscono alti e bassi, allora come ora) è forse l’unico intento moraleggiante.

Il Nautilus è una star del genere. Eccolo qui.

È un mollusco dell’ordine Nautilida, che raccoglie solo questi strani esseri provenienti direttamente dal Paleozoico, che vivono prevalentemente nell’Oceano Pacifico e il cui bel nome, “marinaio” o “navigante”, è stato impiegato da Jules Verne per l’imbarcazione sottomarina del Capitano Nemo.

Nautilus, Disney, 2021 (sceneggiatura di James Dormer)

Anche il mollusco come il sottomarino è capace di immergersi a grandi profondità, però la sua struttura non è “a siluro” ma a concamerazioni divise da setti attraversati da un sifone in cui passa il gas azotato che gli serve per galleggiare o per immergersi sfruttandone intelligentemente la quantità.

Proprio questa struttura è una delle ragioni del fascino che questa splendida forma naturale ha suscitato e continua a suscitare: una spirale logaritmica che si avvolge intorno a segmenti in rapporto strettamente legato alla sezione aurea (rapporto fra due lunghezze disuguali dove la maggiore di queste è medio proporzionale tra la minore b e la somma delle due, a + b). Luca Pacioli (1445-1517), frate e matematico umanista, la chiamò “Divina proportione”, considerando il riflesso divino nelle misure del corpo umano, in rapporto – appunto – di sezione aurea, come evidenziato dal celeberrimo uomo-microcosmo leonardiano.

Talmente splendida è la sua forma che la conchiglia di Nautilus è stata usata per forgiare oggetti decorativi di lusso, che fanno bella mostra di sé nelle tavole imbandite olandesi.

Wilhelm Claesz, Natura morta con coppa di nautilus, 1641, Varsavia, National Museum
Willelm Kalf, Natura morta con ciotola cinese e coppa con nautilus, 1662, Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza 

Come avrete notato non abbiamo fatto cenno alle celeberrime nature morte nostrane di ‘500 e ‘600 (Figino, Galizia, Caravaggio…): il discorso si sarebbe fatto troppo ampio per lo spazio di questa newsletter. Ci siamo fatti invece guidare dal nostro marinaio che ha decisamente puntato la rotta verso i Paesi Bassi dove è stato immortalato in modo davvero esemplare.

E non poteva che essere un artista belga, dunque della stessa area geografica, a rivisitare il tema, unificando idealmente Vita ferma e Natura morta nella sua “tavola imbandita” lavorata in gesso bianco lievemente tinto di nero. In virtù dell’unificazione l’opera si chiama “Vanitas”.

Hans Op de Beeck, Vanitas (variation), 4, 2015

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