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Gli dèi dell’Olimpo VIII / Artemide (Diana)

Gemella divina di Apollo, Artemide venne alla luce subito prima del fratello all’ombra di una palma sull’isola di Asteria che, proprio a seguito di questo evento, fu rinominata Delo (“la splendente”). Ennesimo frutto di una scappatella di Zeus, Artemide era disprezzata da Era che la definiva come “troppo mascolina, una montanara” (Luciano, Dialogi Deorum, XVIII) e, in effetti, non a torto: se Apollo, come sappiamo, era crudele, Artemide di certo non era da meno. Non le piaceva tessere e filare, né tantomeno avere marito. Il sesso non la riguardava e tutto quello che desiderava era correre per i boschi, lanciarsi in cacce sfrenate, aizzare i suoi cani contro le prede e infine colpirle con le sue frecce.

È molto divertente, a tale riguardo, un piccolo quadretto di vita domestica sull’Olimpo che ci ha lasciato il poeta Callimaco. La piccola Artemide, ancora bambina, siede sulle ginocchia del padre Zeus e a lui così si rivolge: “Papà, ti prego, fammi rimanere vergine per sempre. Concedimi arco e frecce, chiedi ai Ciclopi di fabbricarli per me. Voglio vestirmi con una tunica corta, che si fermi sopra il ginocchio, e andarmene a caccia di animali selvatici. Non regalarmi città. Anzi, regalamene una, una sola. Ma poi dammi tutte le montagne e le foreste del mondo. Ah, e poi voglio sessanta ninfe dell’Oceano, tutte di nove anni, che danzino sempre con me. E voglio al mio servizio altre venti ninfe del fiume Amnisos, che si curino dei miei calzari e dei miei cani da caccia. Ti prego, papà!”. Zeus, come molti altri padri dopo di lui, cedette ai capricci della figlia.

Nonostante la poca attenzione all’estetica femminile, quando correva per le selve e il suo corpo androgino si muoveva sotto la corta tunica, la dea poteva risultare terribilmente sensuale…

“Diana di Versailles”, copia romana (I-II secolo d.C.) da un originale greco in bronzo, attribuito a Leocháres (325 a.C. circa), Parigi, Louvre

Lo sa bene il principe tebano Atteone che, per sua disgrazia, si trovò un giorno a passare tra i boschi del monte Citerone mentre la dea faceva il bagno nelle acque di una sorgente. Anche Atteone andava a caccia accompagnato dai suoi cani, e rimase incantato dalla visione di quel corpo magnifico di cui, tuttavia, non avrebbe potuto godere senza conseguenze: le ninfe si accorsero ben presto di Atteone seminascosto tra gli alberi e tutte insieme lanciarono un grido facendosi attorno ad Artemide per proteggerla dallo sguardo del mortale. In piedi, stante in mezzo a tutte, altissima e luminosa nel candore della sua pelle nuda, avrebbe voluto avere sotto mano le sue frecce per ucciderlo ma, non avendone la possibilità, prese solo qualche goccia d’acqua nel cavo della mano e le gettò sul viso del giovane che sentì lentamente il suo corpo trasformarsi. Sul capo del principe crebbero le corna, il suo naso mutò di forma e le sue orecchie si allungarono. Specchiandosi nel riflesso della sorgente Atteone si riconobbe nella visione di un cervo e, terrorizzato, tentò di fuggire mentre i suoi stessi cani, riconoscendo l’odore dell’animale, lo circondarono da ogni parte assalendolo. Non un urlo uscì dalla sua bocca, non un grido di aiuto. Solo bramiti. I cani affondarono i denti nella carne del loro padrone e solo quando il suo corpo fu ormai ridotto a brandelli, Artemide trasse un respiro di sollievo e calmò il suo furore.

Tiziano, Diana e Atteone, 1556-59, Edinburgh, National Gallery of Scotland
Parmigianino, Stufetta di Diana e Atteone, 1523-24, Rocca Sanvitale, Fontanellato

Artemide presiede anche alle iniziazioni femminili. Lo stesso gruppo di ninfe che la segue nei boschi è in effetti un gruppo iniziatico: sono fanciulle caste che vivono ai confini della civiltà. Chi di loro si accosta ad un uomo viene punita (lo sa bene Callistò), come pure i maschi che osano avvicinarsi al gruppo di Artemide.

Domenico Zampieri, il Domenichino, La caccia di Diana, 1615-16. Roma, Galleria Borghese
Tiziano, Diana e Callisto, 1556-59, Edinburgh, National Gallery of Scotland

A Brauron, in Attica, c’era un suo santuario, che si diceva fosse stato fondato da Ifigenia,  in cui le ragazze ateniesi andavano a compiere un particolare rito di iniziazione, un vero e proprio rito di passaggio dall’infanzia alla pubertà.

Tempio di Artemide, V sec. a.C., Brauron Thomas Henry

Queste ragazze (di meno di dieci anni ma più di cinque) venivano chiamate “orsette” perché compivano riti imitando un’orsa  Vivevano in uno stato di libertà semi-ferina, e  potevano abbandonarsi a corse sfrenate nei boschi (prima di essere ingabbiate nel meno divertente ruolo di spose e madri).

Un particolare rito consisteva nel compiere sacrifici cospargendo di miele una statua di Artemide per scongiurare il ritorno di una nuova pestilenza. Si raccontava infatti che un tempo venne donata un’orsa al tempio di Artemide e che questa fu addomesticata. Un giorno una ragazza nel giocare con l’animale rimase graffiata in volto e il fratello di lei, preso da un impeto d’ira, uccise la bestia. Artemide, offesa, inviò una pestilenza e dispose che tutte le giovani donne, prima delle nozze, imitassero l’orsa e portassero vesti del colore del croco.

“Orsetta”, 320 a.C., Archaelogical Museum, Brauronni, Apollo e Dafne (part.), 1622, Roma, Galleria Borghese

Negli aspetti legati alla vendetta, soprattutto alla ferocia della stessa, Artemide appare proprio come il doppio femminile di Apollo.   

In buona sostanza, la figura di Artemide potrebbe essere riassunta come una single incallita che ha il pallino della forma fisica e del fitness e non ha alcuna voglia di imbarcarsi in relazioni con uomini ma che, anzi, prova un certo fastidio per il sesso maschile. Ama la natura ed è una salutista. Potrebbe sembrare una personcina solare e amabile ma, se la si conosce bene, ci si rende conto che ha una certa fascinazione per il mondo notturno e una spiccata simpatia per la luna. Insomma, se doveste incontrare una così stateci attenti: potreste ritrovarvi in un grosso guaio.   

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