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Animali dalla A alla Z / XIII Il Rinoceronte

Stavolta l’addetto al bestiario non è un anonimo del gruppo dell’associazione ma una nostra carissima amica, Arianna Di Genova, giornalista, critica d’arte e scrittrice, che al Rinoceronte ha dedicato un bellissimo libro per l’infanzia (Un rinoceronte in giardino) e che ha accettato di scrivere per noi.

Aveva sempre destato grande meraviglia nei lettori della Naturalis historia di Plinio il Vecchio quell’acerrimo nemico dell’elefante, unica creatura sulla terra in grado di sconfiggere il titanico pachiderma e costringerlo alla fuga. Così raccontava del rinoceronte lo scrittore latino, e che quella testimonianza corrispondesse a verità i portoghesi lo poterono sperimentare molti secoli dopo, quando un esemplare possente arrivò in città come dono che il re di Gujarat aveva inviato al loro sovrano, Manuel I, per mezzo del viceré di Goa Alfonso Albuquerque. Il rinoceronte era ormai un rarissimo e sconosciuto animale. 

In Europa, infatti, dai tempi dei Romani, se ne era persa la memoria e il suo ricordo si era talmente sbiadito che non pochi lo confondevano – non senza voli di immaginazione – con l’unicorno, presentandolo così anche nei bestiari. Il regalo vivente viaggiò alla volta di Lisbona per molti mesi, affidato al navigatore di lungo corso Tristan da Cunha e al vascello Nossa Senhora de Ajuda. I marinai lo ribattezzarono Ulisse (il suo nome indiano era Ganda), in omaggio al suo peregrinare per oceani e mari.

Il 1 maggio del 1515 approdò a Belem, lì dove si stava costruendo la iconica Torre, avamposto difensivo e porta di accesso alla città. E proprio su una mensola della Torre si volle rendere omaggio a Ulisse con una scultura della sua testa (oggi assai deteriorata a causa delle intemperie).

Manuel I lo presentò al suo popolo con un roboante spettacolo: in quella che attualmente è Praça do Commercio, allestì palchi per il pubblico e lo fece combattere con il suo elefante che, per non smentire Plinio, ebbe la peggio. 

Un mercante tedesco vide la prodigiosa apparizione e narrò per lettera quel che aveva osservato con i suoi occhi, cimentandosi poi in uno schizzo del rinoceronte. La missiva prese la strada di Norimberga dove poté leggerla un artista dalla curiosità vividissima, Albrecht Dürer.

Fu così che ebbe origine la xilografia più popolare del mondo dell’arte, realizzata nel 1515 da Dürer sulla base di quel che aveva imparato dagli scritti del mercante strabiliato e pure utilizzando una buona dose di fantasia. Nonostante il rinoceronte fosse frutto di invenzione – il corno sulla schiena, la pelle simile a una corazza, le zampe squamose come  nei rettili – divenne l’unico modello in circolazione per tutta Europa, con grandi tirature di stampa.

A. Dürer, Rinoceronte, xilografia, 1515, Londra, British Museum

Sulla xilografia originale, campeggia la scritta in tedesco che “spiega” quella creatura: “Ha il colore della tartaruga maculata ed è quasi interamente ricoperto da squame spessissime. Ha le dimensioni di un elefante, ma ha gambe più corte ed è quasi invulnerabile. Ha un forte corno appuntito sulla sommità del naso che affila sulle pietre. È l’acerrimo nemico dell’elefante, che ha paura del rinoceronte. Quando i due si incontrano, il rinoceronte carica con la testa tra le gambe anteriori al fine di squarciare il ventre dell’elefante, che non può difendersi (…). Si dice che il rinoceronte sia veloce, impetuoso e astuto.”

Quello vero – invece – se ne stette per un po’ nei giardini reali facendo bella mostra di sé fino a quando re Manuel I decise di inviarlo come magnifica offerta a Leone X, a Roma. D’altronde, non era un atto unico: in precedenza, il re del Portogallo aveva mandato l’elefante Annone al pontefice, divenuto in breve una celebrità. Gli animali esotici procuravano non pochi benefici politici. 

Stavolta, però, le cose non andarono per il verso giusto. La nave, colta da una tempesta nel golfo di La Spezia, naufragò e il povero Ulisse, incatenato in stiva, non poté salvarsi (e pensare che i rinoceronti indiani sono l’unica specie in grado di nuotare). Anche Raffaello con la sua bottega volle dire la sua su quell’eccentrico  soggetto di cui si favoleggiava. E negli affreschi delle Logge Vaticane, nel riquadro con la Creazione degli animali, compaiono sia il rinoceronte che mai giunse a Roma, sia un elefante, senza dubbio Annone.

Raffaello e bottega, La creazione degli animali, 1518-19, Vaticano, Logge

Meglio andò invece a Clara, più di due secoli dopo. Il rinoceronte di Dürer era destinato a essere spodestato dal trono delle star con l’arrivo nel Vecchio Continente di una sua “collega” femmina, che fece furore gettando Ulisse nell’oblio.

Questa volta, la rinocerontessa Clara la videro tutti, in diverse città europee. E in molti si misero di buona lena a ritrarla minuziosamente. Ma sono due le opere-manifesto della sua esistenza e fama: il piccolo quadretto che si trova a Venezia, nel museo di Ca’ Rezzonico a firma di Pietro Longhi e il ritratto che di lei fece il francese Jean Baptiste Oudry.

Clara era nata in India e, rimasta orfana, era stata allevata da una famiglia. Pare infatti che a dispetto della stazza, i rinoceronti siano animali mansueti se non provocati. Divenuta poi troppo “ingombrante”, fu comprata dal capitano Douwemout van der Meer, che s’improvvisò impresario di spettacoli itineranti, sfruttando per soldi quell’esemplare dal carattere pacatissimo. Un affare remunerativo, dato che abbandonò in un batter d’occhio la Compagnia olandese delle Indie orientali.

Tra il 1741 e il 1758, Clara girò l’Europa in tournée, alloggiò con tutti gli onori a Versailles e a Roma soggiornò alle Terme di Diocleziano.

Finì su tazze, tessuti, carte da parati, lanciando anche la moda delle parrucche francesi “alla rinoceronte”. Una vera ossessione.

Nel 1749 la dipinse il famoso pittore animalista Oudry e l’opera, talmente veritiera da sembrare vivente, fu comprata l’anno successivo dal duca di Meclemburgo-Schwerin per appenderla, a futura memoria, nella sua pinacoteca a Schwerin.

Jean-Baptiste Oudry, Il rinoceronte Clara a Parigi nel 1749, 1749, Shwerein, Staatliches Museum

Nel 1751 fu invece la protagonista assoluta del Carnevale in Laguna. Era esibita come attrazione in un casotto dove il pubblico accorreva a frotte  pagando un biglietto. A Venezia poté contare su un ritrattista di tutto rispetto: Pietro Longhi. Pittore della vita quotidiana del suo tempo che restituiva in vivaci scenette molto amate dai collezionisti, ebbe l’incarico di immortalare Clara da Giovanni Grimani, signore con la mania dei serragli esotici. Nel quadro, la rinocerontessa è intenta a masticare fieno e sugli spalti in legno uomini e donne mascherati, e una bambina, la osservano. Non ha il corno (i rinoceronti in natura lo perdono, ma poi ricresce) che viene sollevato verso il cielo da un personaggio (forse è Van Der Meer). Dell’opera esiste una seconda versione, conservata alla National Gallery di Londra.
E proprio a Londra Clara salutò i suoi fans per l’ultima volta, quando nel 1758, all’età di circa vent’anni, morì.

Pietro Longhi, Il rinoceronte, 1751, Venezia, Ca’ Rezzonico
Pietro Longhi, Il rinoceronte, 1751, Londra, National Gallery

Ma questo animale dall’aspetto ancestrale continuò a ammaliare gli artisti fino all’epoca contemporanea. Salvador Dalì imbastì gran parte della sua delirante filosofia mistica intorno al rinoceronte (una stampa di Dürer aveva popolato le pareti della sua infanzia), convinto che ogni esemplare fosse mitologico e il suo corno simbolo di castità universale. Secondo le sue teorie, ogni esemplare non solo “porta sulla punta del naso una delle più belle curve logaritmiche, ma anche nel suo didietro una specie di galassia di curve logaritmiche in forma di girasole”.  Addirittura vedeva somiglianze fra la sua composizione naturale e la purezza geometrica e aulica dell’arte di Vermeer…
Dalì si recava a dipingere allo zoo di Vincennes: sono numerose le fotografie che lo ritraggono accanto a François, il rinoceronte tenuto lì in cattività. Fondò pure una rivista con il suo nome – “Rhinoceros” – che trattava temi  estetici, morali e scientifici. Al culmine del parossismo, immaginò una statua-autoritratto che lo rappresentasse come un rinoceronte. “Voglio che la mia statua sia un rinoceronte cosmico e la sua parte posteriore dovrebbe contenere non le solite granulazioni, ma un cavolfiore diviso in due con un piccolo cavolfiore all’interno”. Una visione surreale, certo.

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