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Animali dalla A alla Z / XVI L’unicorno (o Liocorno)

Occorrerebbe essere un cantastorie come Duncan Williamson, gipsy scozzese, con alle spalle una grande famiglia girovaga che racconta, ascolta e tramanda storie, per essere in grado di dire tutto sull’unicorno, forse l’animale fantastico più celebre e amato.  

Dai libretti “impara a colorare con gli unicorni”, ai romanzi (forse il più celebre La dama e l’unicorno di Tracy Chevalier), alle raccolte di leggende (come quella del citato Duncan Williamson), ai repertori di simboli, la candida bellezza di questo strano essere attrae e seduce, ma allo stesso tempo quel corno spiraliforme incute un singolare timore.
Lo seguiremo a debita distanza, perché il bell’animale ha un carattere quanto meno irascibile, e indagheremo un po’ sulla sua genealogia e sulle sue imprese.

Gli autori antichi lo conoscono e ne tramandano l’esistenza, pur con qualche cautela. In principio c’è Ctesia, medico greco del IV-V secolo a.C., che aveva polverizzato un corno di un animale grande come un cavallo con un solo corno sulla fronte, ricavandone un rimedio contro l’avvelenamento. Secondo Aristotele questa bestia era l’antilope indiana (oryx), anche se ci sono buone possibilità che si tratti di un rinoceronte. Quanto a Plinio, nella sua Naturalis Historia ci racconta che l’Etiopia genera “cavalli alati e armati di corna, che chiamano pegasi”. E qui ci sarebbe da perdersi tra miti diversi… ma non lo faremo.
Più concretamente, diremo che nella Bibbia l’unicorno “appare” per un problema di traduzione dall’ebraico. La parola in questione è reem: genericamente un bovino con le corna. A volte tradotto bufalo, a volte rinoceronte, a volte unicorno.  In ogni caso, nei commenti alla Bibbia, da una parte questo fantomatico corno viene assimilato a Cristo, come “corno di salvezza”, interpretando in modo abbastanza ardito un passo di Luca, e dall’altra, a partire dal Fisiologo (testo alessandrino del II secolo dopo Cristo, “padre” di tutti i Bestiari, come ormai avrete sentito dire fino alla nausea) si impone una leggenda che è poi quella per la quale l’unicorno  è più noto. Citiamo dunque il Fisiologo, nella sua versione greca: l’unicorno  “è un piccolo animale, simile al capretto ma ferocissimo. Non può avvicinarglisi il cacciatore a causa della sua forza straordinaria; ha un solo corno in mezzo alla testa. E allora come gli si dà la caccia? Espongono davanti ad esso una vergine immacolata, e l’animale balza nel seno della vergine, ed essa lo allatta, e lo conduce al palazzo del re”. La versione latina aggiunge: “Così anche il nostro Signore Gesù Cristo, spirituale unicorno, discendendo nell’utero della vergine, per mezzo della carne presa da lei fu catturato dai Giudei e venne condannato a morire sulla croce lui che fino allora era stato col padre invisibile a noi”. Quella che a noi sembra confusione mentale non è altro che il frutto dell’allegorismo tardo antico e medievale che nel trattare di questa bestiola immaginaria si sbizzarrisce come non mai…

Ms. British Library Harley 4751 f.15

Tutti conoscono il più noto degli unicorni nelle rappresentazioni: quello della serie di arazzi con la Dama e l’unicorno, splendidamente conservati al Musée de Cluny a Parigi. Sono sei gli enigmatici arazzi, cinque dedicati ai sensi mentre l’ultimo è una sorta di ritratto emblematico della protagonista, forse membro della famiglia Le Viste di Lione. Gli arazzi sono datati alla fine del ‘400, quando l’unicorno è diventato stabilmente bianco, per sempre simbolo della castità. 

La dame à la Licorne, arazzi, 1334 ca, Parigi, Musée National du Moyen Âge / Musée de Cluny

Ma c’è stato un periodo in cui è stato color cammello e con sembiante di capra, memore delle descrizioni antiche. Un esempio tardo è questo bel Trionfo della Castità di  Gherardo del Fora, appartenente al filone iconografico dei “Trionfi” derivati dagli omonimi componimenti petrarcheschi. Una sottolineatura della purezza della virtù di Castità potrebbe essere quell’ermellino sul vessillo che guida il piccolo convoglio… (vedi nel nostro sito la Newsletter IV).

Gherardo Di Giovanni Detto Gherardo Del Fora, Trionfo della Castità, 1485 ca, Torino, Musei Reali, Galleria Sabauda

C’è poi un singolare romanzo medievale, una sorta di trasposizione occidentale di un apologo buddista, la cosiddetta Leggenda di Barlaam e Iosafat che ha come tema la vanità delle cose mondane: un uomo fugge inseguito da un unicorno (che rappresenta il Male) e cade in una fossa; si aggrappa a un albero, ma un topo bianco e uno nero ne rodono le radici; sul fondo della fossa l’uomo scorge un drago. Lungo l’arbusto vede tuttavia scorrere qualche goccia di miele che lo porta a dimenticare la sua incresciosa situazione. C’è un esempio bellissimo nel rilievo di un pulpito ora nel Museo del Duomo di Ferrara.

La leggenda di Barlaam e Iosafat, XII/XIII sec., Ferrara, Museo della Cattedrale

Ma torniamo al più consueto rimando alla purezza e alla castità: come sempre se un simbolo va in una direzione, è molto probabile che via via gli si sedimentino attorno caratteristiche che la confermano: così anche al corno dell’unicorno veniva attribuita una capacità di purificare e lo vediamo spesso immergere il suo corno nell’acqua. La singolare apposizione del corno in uno specchio d’acqua è molto suggestiva: sembra quasi una bacchetta magica, come nel caso dell’illustrazione qui sotto.

La Licorne, “Dits moraux”, Ms 24261, f. 67r., Bibliothèque Nationale de France

Nella Bibbia di Borso d’Este un piccolo unicorno, con un contorno di fiori psichedelici e con la bocca aperta per lo sforzo, sta producendo un piccolo vortice nell’acqua di un mini-specchio lacustre.

Taddeo Crivelli (e aiuti), Unicorno, “Bibbia di Borso d’Este”, 1455-1461, Modena, Biblioteca Estense, Ms. Lat. 422-423

Alcune celebri dame sono ritratte con unicorni, oltre alla raffinata nobildonna di casa Le Viste: quella di Raffaello, forse Maddalena Doni, ritratto conservato presso la Galleria Borghese di Roma, e una fanciulla Farnese, famiglia che, al pari delle casate dei re di Scozia e d’Inghilterra, aveva un unicorno nello stemma. Si tratta di Giulia Farnese, che aveva di sicuro contribuito all’ascesa del fratello Alessandro al soglio pontificio e proprio per virtù che con la purezza poco avevano a che fare. La cultura del tempo permetteva di capovolgere con i mezzi raffinati e intellettuali dell’emblematica una certa diceria. Ebbene Giulia diventa il soggetto di almeno due cripto-ritratti sotto le spoglie di una  “vergine” con l’unicorno.

Domenico Zampieri (Domenichino), Fanciulla con l’unicorno, 1602, Roma, Palazzo Farnese 
Luca Longhi, Dama con l’unicorno (Giulia Farnese?), 1540-60, Roma, Museo Nazionale di Castel S. Angelo

Il fascino che le proprietà del corno erano in grado di sviluppare ha dato origine a un fenomeno di mania collezionistica e tutte le Wunderkammer più prestigiose hanno avuto il loro bel corno di… narvalo. Sì perché è proprio del (piuttosto brutto) cetaceo il corno che ancora fa mostra di sé nei musei di storia naturale di  tutto il mondo. Di certo più semplice da trovare di un corno di unicorno.

Dente di narvalo, Mantova, Palazzo Ducale

Avremmo voluto terminare con la consueta nota pop ma la forbice è problematica: da una parte gli orrendi pupazzetti multicolor dei cartoni per bambini, dall’altra l’inquietante apparizione in Harry Potter,  in cui un unicorno morente, in una foresta buia e piena di misteri, fa capire al protagonista come il suo rivale, Voldemort, si sia cibato del sangue della bestia indomita.  Avendone in cambio l’immortalità ma una vita di infelice cupezza. 
Se volete rattristarvi, questa è la video clip:

Altrimenti continuate a sognare sulla scorta di Plinio, delle enciclopedie medievali, lungo le tante strade che la nostra mente analogica prende quando si tratta di animali.  Soprattutto di quelli che non esistono, come quello della tenuta Spiderwick, che tanto ricorda il capretto del Fisiologo

Unicorn, Illustrazione dalla Guida magica alle Creature Fantastiche di Arthur Spiderwick

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