L’Oratorio del Gonfalone è uno degli edifici di culto più rinomati ma forse meno conosciuti di Roma, una caratteristica solo apparentemente paradossale.
Federica di Folco ci ha illustrato le vicende storiche ed artistiche di questo luogo che presenta un ciclo di affreschi fra i più emblematici del cosiddetto ‘Manierismo Romano’.
L’oratorio fu costruito verso la metà del ‘500 sulla preesistente chiesa di Santa Lucia Vecchia per volere della confraternita del Gonfalone, che ha le sue origini in un sodalizio nato a metà del ‘200 per motivi di conforto materiale e spirituale soprattutto in occasione di epidemie e che ebbe l’autorevole appoggio di Bonaventura da Bagnoregio. Il nome di Gonfalone, usato sporadicamente, si affermò a metà ‘400 quando il sodalizio venne unificato ad altre importanti confraternite ed ebbe un incarico prestigioso: la tutela dell’icona Salus Populi in S.Maria Maggiore durante i suoi spostamenti in occasione delle processioni e il mantenimento della luce accesa nel tabernacolo. Dotata di cospicue rendite, ogni anno, in occasione della festività dell’Assunzione della Vergine, la confraternita dotava cento fanciulle povere.
L’interno dell’aula è interamente ricoperto di affreschi con ‘Storie della Passione di Cristo‘, una sorta di memoria visiva delle sacre rappresentazioni della Passione di Gesù che il Gonfalone organizzava presso il Colosseo durante la Settimana Santa ma che – dopo alterne vicende – vennero infine bandite nel ‘500 per il verificarsi di gravi disordini. Tutti gli episodi finali della vicenda terrena di Cristo sono per cosi dire “messi in scena” nei grandi riquadri affrescati, a partire dall’Entrata in Gerusalemme, fino alla Resurrezione.
Promotore dell’impresa artistica fu il cardinale Alessandro Farnese che si impegnò a fornire le manovalanze via via disponibili, artisti la cui fortuna è declinata nel tempo ma che all’epoca erano ritenuti di sicuro affidamento nel lavorare con la difficile tecnica dell’affresco. Molti degli artisti coinvolti nell’impresa avevano lavorato o stavano lavorando per il Gran Cardinale alla decorazione di Palazzo Farnese a Caprarola.
A cominciare da Jacopo Bertoja, il pittore preferito dal cardinal Farnese, abbiamo ascoltato da Federica come sui ponteggi si siano avvicendati negli anni settanta del ‘500 Livio Agresti, Raffaellino da Reggio, Marco Pino e lo sfortunato Matteo da Lecce. Artisti che con declinazioni diverse parteciparono della stagione finale della cosiddetta Maniera, che fu perfetto strumento di persuasione per la controffensiva cattolica dopo la frattura della Riforma protestante. Una pittura che da una parte coinvolge per il suo insistito patetismo ma che dall’altra rasserena con una tavolozza luminosa e gradevole. Un lavoro di squadra costruitosi, è il caso di dire, giornata dopo giornata, conservato per intero in questo scrigno per lo più sconosciuto: oggi infatti l’oratorio è fruibile normalmente solo dagli appassionati di musica da camera essendo sede del Coro polifonico romano che vi tiene periodicamente dei concerti.














