Dopo una serie di imprevisti davvero numerosi, con la guida di Rossella Faraglia, abbiamo potuto visitare la chiesa di Santa Maria in Vallicella, o Chiesa Nuova, la chiesa che S. Filippo Neri e i suoi confratelli dell’Oratorio iniziarono a costruire su un precedente impianto a partire dal 1575, data di nascita, per volontà di Gregorio XIII, della loro congregazione.
Dopo una sosta sulla piazza, dove abbiamo ripercorso brevemente la storia dei cambiamenti (o stravolgimenti) urbanistici dovuti all’apertura di Corso Vittorio Emanuele, dopo aver iniziato a parlare della storia del secondo apostolo di Roma, come viene definito il Neri, del suo attivismo presso bisognosi e malati ben prima della nascita della congregazione e infine, dopo aver individuato la genesi dell’Oratorio Filippino in una pratica devozionale sui generis e molto “dal basso”, siamo finalmente entrati per un ingresso laterale nel cortile nord, dove ci attendeva il fuoco di sbarramento di una sposa inviperita per l’”indebita invasione”. Ovviamente nessuno ci aveva avvertito che c’era un matrimonio…
Per fortuna il lieto evento era nella sua fase banchettistica, così siamo potuti entrare in chiesa e, in attesa della visita alle stanze di S. Filippo, ci siamo soffermati davanti alla sua cappella ricchissima di marmi preziosi (chissè se il Neri avrebbe apprezzato…) dove si trova la riproduzione in mosaico del bel dipinto di Guido Reni ora nelle Stanze, e dove abbiamo potuto vedere con agio la strepitosa macchina d’altare di ardesia di Pieter Paul Rubens con la gloria di angeli che circonda il dipinto in rame con la Vergine e il Bambino, coperta mobile (viene sollevata nella messa vespertina) che protegge il medievale affresco miracoloso della Madonna della Vallicella. Simbolo ed epitome della religiosità del Neri, al quale la visione della Vergine e delle sue immagini procurava estasi ricorrenti e prolungate, sebbene dissimulate da una personalità che detestava l’esaltazione e anzi aveva fatto del disprezzo di se stesso una regola di vita. Un santo speciale a cui i romani, tramite Pasquino, tributarono il più ironico e affettuoso degli omaggi, “oggi il papa fa quattro spagnoli e un santo”: accanto a lui vennero canonizzati, nel 1622, Ignazio di Loyola, Teresa d’Avila, Isidoro Agricola, Francesco Saverio.
Poi siamo stati accompagnati da una gentile e competente guida nelle stanze del santo, ricche di reliquie sia sue che da lui conservate e amate, tra dipinti, lettere, ricordi di amici cari come Carlo Borromeo, fratello spirituale dell’Oratorio e Cesare Baronio, storico della Chiesa, fiore all’occhiello dell’Ordine.
Siamo infine tornati nella chiesa per percorrerne le navate e ammirare i dipinti di Pulzone, Barocci, Cavalier d’Arpino, Muziano, Cesare Nebbia, Caravaggio (sebbene in copia, visto che l’originale della Deposizione è ai Vaticani). Tutti, pur nella loro diversità, informati all’ideale tipico della Controriforma di piena leggibilità e di conformità alla devozione alla Vergine, al Cristo e alla Trinità. Era l’ideale cristiano delle prime comunità, puro e rinnovato, a cui ci si rivolgeva dopo la ferita della Riforma luterana. E, in contrapposizione alla Riforma, il dato forse più interessante dal punto di vista storico-artistico: sono proprio le immagini il tramite della devozione suscitandola, alimentandola, facendoci partecipi della sostanza del divino.
In buona sostanza, tutti e tutte, credenti e non credenti, dobbiamo a queste istanze un buon numero di capolavori.



























