Appuntamento di buon mattino in Largo Tacchi Venturi, uno dei tanti ingressi al parco della Caffarella, area naturale compresa nel più ampio sistema del Parco regionale dell’Appia antica.
Tutti in abiti leggeri e scarpe comode alla scoperta di curiosità botaniche e archeologiche di un territorio affascinante e sempre più frequentato dai residenti del quartiere (e non).
Il patrimonio arboreo è, anche solo a prima vista, molto variegato: dalle querce autoctone come il leccio e il sughero all’appariscente sambuco, molto utilizzato in fitoterapia e in ambito alimentare (in tanti apprezziamo la sua marmellata).
Non tutto ciò che è bello è però buono per l’ecosistema. Sono anche presenti specie ritenute invasive come l’Ailanto, introdotto in Europa dalla Cina nel ‘700 per l’allevamento di un lepidottero che sostituisse il baco da seta la cui sopravvivenza era, in quel periodo, minacciata da una epidemia. Ma la pianta ha una capacità di riproduzione altissima ed è oggi tra le specie più invasive, capace di soffocare la diffusione delle altre specie locali.
Abbiamo inoltre imparato a porre attenzione a dove si calpesta: esiste a terra un ricco campionario di biodiversità, la malva e le graminacee prataiole a solo titolo di esempio.
Molte sono le piante erbacee che presentano proprietà velenose, una per tutte la cicuta maggiore, il Coniuum maculatum, contenente un alcaloide potentemente tossico, come la morte di Socrate dimostra.
Tante informazioni sono arrivate anche insospettate, come per la Chelidonia dal caratteristico stelo che produce un lattice giallo come il suo fiore, che si può usare artisticamente per tracciare linee su un foglio, anche se è più noto come fitoterapico. E poi le palline “pelose” della Maclura pomifera, il Lupinus graecus e i suoi baccelli, i bellissimi fiori del cardo mariano, delle ginestre, della Nigella sativa, l’Arum italico, ovvero la calla selvatica o pan di serpe … e infine la Lemna minor (lenticchia d’acqua), autentico tappeto verde sospeso sopra l’acqua delle varie pozze.
Da una piccola sommità del parco abbiamo goduto di una bellissima vista panoramica, che è stata anche l’occasione per un tuffo nel passato, alle origini di questa valle alluvionale segnata dall’Almone, un tempo fiume sacro e navigabile. Sullo sfondo i Colli albani e il Vulcano laziale, le cui eruzioni sono state le fonti primigenie di questo territorio che, proprio perché sommamente fertile, è stato scelto in età imperiale, per la grande tenuta del Triopio di Erode Attico, ateniese ricco e colto, precettore di Marco Aurelio e Lucio Vero, con diverse cisterne per l’approvvigionamento idrico. La veduta da questa parte del parco si allargava alla chiesa di S. Urbano, alla Tomba di Cecilia Metella, al Ninfeo di Egeria, e anche alle cave per l’estrazione della pozzolana … molti luoghi che ci siamo quasi inevitabilmente proposti di riprendere in una futura visita.
Infine, una visita al casale della Vaccareccia, con una torre medievale ben conservata, appartenuto nel Cinquecento alla famiglia Caffarelli che dà il nome a questo luogo davvero unico, vincolato dal 1965 grazie alle battaglie civiche del grandissimo Antonio Cederna e ora a nostra (ammirata) disposizione.
Un ringraziamento a tutti gli intervenuti che hanno arricchito la passeggiata con domande e considerazioni sui vari temi. E naturalmente un grazie speciale alle nostre guide Giovanni Salerno e Sara Millozzi che con competenza e passione divulgatrice hanno formato un’unica voce.
Grazie per le foto a Mario Scandale e Simone Oliverio