L’eroina biblica Giuditta è stata la protagonista della visita di ieri alla mostra di Palazzo Barberini.
Federica di Folco ci ha guidato con competenza, vivacità e passione in un percorso di opere tardo-rinascimentali e barocche, al centro del quale è Caravaggio, vero spartiacque artistico.
La vicenda biblica, sebbene non universalmente accettata, è piuttosto nota: Giuditta, nobile vedova della città di Betulia, decapita con l’aiuto dell’ancella Abra il generale assiro Oloferne al termine di un banchetto organizzato in suo onore, salvando la città assediata.
Caravaggio ci rappresenta il fatto in un modo del tutto rivoluzionario per la resa visiva di un omicidio in corso d’opera e per la tensione nelle posture dei protagonisti.
Il dipinto per Ottavio Costa, ora in collezione permanente Barberini, è stato ritrovato e catalogato solo a metà del secolo scorso quando ormai ritenuto disperso.
In apertura di mostra c’è una versione di Tintoretto, pregevole, ma dall’impostazione molto tradizionale nell’ampia scenografia e nella ricchezza dei dettagli delle stoffe, delle suppellettili e dell’armatura di Oloferne.
A seguire, Orazio Gentileschi, nel confronto ravvicinato con la figlia Artemisia, che dapprima sembra imitare il padre ma poi licenzia un’opera la cui drammaticità è immagine speculare di un personale vissuto: la violenza, la materialità del sangue che cola e si raggruma sulla biancheria, la ferma volontà nell’atto posto in essere.
La mostra propone diversi altri artisti: Valentin de Boulogne, con il suo Oloferne che si prende il centro della scena, Mattia Preti con la sua Giuditta bellissima e sfinita, ecc. , ognuno che segue i modi della propria epoca artistica filtrati dalla propria sensibilità nei riguardi del raccapricciante evento rappresentato.
Giuditta come tramite di Dio nella salvezza del popolo eletto o più semplicemente figura di donna finalmente protagonista nella storia (dell’arte): immagini e temi solo apparentemente dicotomici.