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Animali dalla A alla Z / XI Il Porco (e il Maiale)

Avendo saltato la lettera “M” ci rifacciamo con il Porco, che porta con sé il Maiale, essendone la sua versione domestica.
Avvertiamo subito che ci sarà un protagonista: S. Antonio, per ovvi motivi.

E, insieme al porco, si parlerà di fuoco, di primavera, di guarigione.

Alessandro Bonvicino, il Moretto, S. Antonio, 1530-35, Comero (Brescia), Santuario di Auro

Eccolo qui, il santo in maestà con un mini-falò nella mano destra, un pastorale con una campanella in cima nella sinistra, un maiale scuro ai suoi piedi; è piuttosto agitato, come se il “fuoco” della malattia che da lui prende il nome lo avesse colpito.

Santo davvero importante, fondatore del monachesimo cristiano, nacque in Egitto a metà del III secolo d.C. e morì sempre in Egitto, nel deserto della Tebaide, ultracentenario. È considerato il primo degli abati (“abba” è termine aramaico per “padre spirituale”).

Divenuto orfano appena adolescente, ascoltando in una predica il passo di Matteo in cui Cristo esorta il ricco a lasciare i propri beni e a seguirlo, in men che non si dica affidò i suoi beni ai poveri e iniziò una pratica di vita eremitica. Nelle solitudini, andò a visitarlo il demonio che ingaggiò con lui una vera e propria zuffa a colpi di effetti speciali che durò un bel po’ di tempo: nelle varie fasi Satana fece apparire donne lascive, cibo, denaro, piaceri vari, tutti quei piaceri cui Antonio aveva volontariamente rinunciato. Non potendo avere ragione dell’eremita con le apparizioni tentatrici, il demonio prova con le maniere forti, e sotto forma di bestie feroci lo assalta fino a sfinirlo, anche perché, come si può immaginare, il santo praticava il digiuno e non era particolarmente in forze.
Tutto questo ce lo racconta Atanasio, vescovo-teologo di Alessandria in una lettera a edificazione dei monaci d’Occidente, presto diventata un best-seller. Nel momento topico, una domanda tipica. Antonio chiede a Dio, che infine gli è apparso in un raggio di luce: “Dov’eri? Perché non apparisti per porre fine ai miei dolori?”. Risposta: “Io ero qui, Antonio, ma volevo vedere la tua lotta, e poiché l’hai sostenuta e non sei stato vinto, sarò sempre il tuo aiuto e farò che tu venga ricordato ovunque”. Così sia, viene da dire, non solo perché il santo è preso ad esempio da tutti coloro che vogliono praticare un’ascesi radicale, ma anche perché la lotta di Antonio diventa un soggetto clamorosamente diffuso in arte e letteratura.

Tra gli animali che popolano la storia così come ce la racconta Atanasio, tormentando e assaltando il santo, ci sono lupi, serpenti, leoni, tori ma sul versante simbolico è tutto un’altro affare e allora c’è chi, come Dürer, inventa ibridi spaventosi, chi punta sulla lussuria in forma di donna, chi ricorda che il maiale è stigmatizzato in una lunga tradizione testuale come simbolo di lussuria e di gola; così Félicien Rops, con una delle sue tipiche immagini estreme, immagina la lussuria come una donna discinta, che addirittura si sostituisce al Cristo crocifisso, cui fa da “spalla” un impetuoso maiale che si sporge da un libro su cui è scritto in greco “Ormenos” (che spinge, che assalta). Il santo invece ha davanti a sé un librone sulla Continenza di Giuseppe (colui che fu tentato da una donna, e le resistette), e resiste ma vacilla.

Félicien Rops, La tentazione di S. Antonio, 1878, Bruxelles, Biblioteca reale del Belgio, Gabinetto delle Stampe

Peraltro, immagine lussuriosa par excellence, è, sempre di Rops, la cosiddetta Pornokratès, una donna (qualcosa di più di una femme fatale… ), che non si capisce bene se porta o è portata dalla sua libidine in forma di maiale.

Félicien Rops, Pornokrates, 1878, Namur, Musée Félicien Rops

Dopo questo ciclone peccaminoso, torniamo più distesamente al santo del fuoco, del maialino domestico, del bastone e del campanello con cui abbiamo iniziato.

Pisanello, Madonna tra i santi Antonio Abate e Giorgio, 1445, Londra, National Gallery

Alla morte del santo in Egitto, le sue spoglie vennero poste in un luogo segreto. Una volta rinvenute, viaggiarono molto e infine, da Costantinopoli, nell’XI secolo giunsero in Francia, in un luogo oggi noto come Saint-Antoine l’Abbaye. Lì le reliquie operarono prodigi di guarigione: del resto, lo stesso Atanasio aveva riportato di diverse guarigioni che il Signore operò per mezzo di Antonio ancora in “versione egizia”… Com’è come non è, gli Antoniani, ordine che sorse proprio nell’XI secolo, aprirono un ospedale presso l’abbazia e pare curassero la malattia che veniva chiamata “ignis sacer”, fuoco sacro (l’herpes zoster, un virus, insomma…), con una pomata a base di grasso di maiale. Ottennero dal papa il permesso di nutrire i preziosi porcelli a spese della comunità e di farli circolare liberamente, avvisando del proprio passaggio (e allertando per l’utile questua) con una campanella.

Ovviamente S. Antonio era morto di mille morti, ma questi sono i motivi per cui egli è raffigurato sempre con un fuoco o con un porcello (a volte sembra un cinghiale, altre una cinta), o con entrambi.

Non è un caso che il 17 gennaio, giorno della sua festa, si portano a benedire gli animali domestici o si accendono i cosiddetti “falò di sant’Antonio”, con funzione purificatrice come tutti i fuochi che segnavano, con la fine della semina, il passaggio dall’inverno alla imminente primavera.

Passaggio che già nell’antica Roma era celebrato alla fine di gennaio nelle cosiddette feriae sementivae in onore di Cerere e Tellusle due divinità  “madri delle messi” come le definisce Ovidio nei Fasti. A Cerere venivano offerte spighe di farro, a Tellus veniva sacrificata una scrofa gravida.

E a proposito di scrofe: come dimenticare quella del presagio avuto in sogno da Enea circa il luogo in cui sbarcare, dopo la fuga da Troia, e dove fondare una città? Lo racconta Virgilio nel libro VII dell’Eneide. Giunti presso l’attuale Pratica di Mare, Enea e i suoi compagni videro la scrofa bianca indicata in sogno dal dio Tevere, che, distesa sul prato, nutriva i suoi lattonzoli. In quel luogo Enea fondò dunque Lavinium mentre Ascanio, dopo circa 30 anni (30 come i porcellini), fonderà Albalonga. 

Enea, Ascanio e la scrofa con i lattonzoli, II sec. d.C., Londra, British Museum

Tanti sono i maiali e maialini che popolano fiabe, racconti, film …

Ci piace ricordare un film di Miyazaki: “Porco rosso”.

È una storia bella e romantica, ambientata in Italia, e racconta le gesta di Marco, un reduce della prima guerra mondiale, che per un’oscura metamorfosi seguita a un incidente, è diventato un maiale. Siamo nel 1929, Marco è protagonista di azioni mirabolanti contro i pirati dell’aria, ma soprattutto si oppone al fascismo e per questo viene messo al bando e chiamato “Porco rosso”.

Un insulto che accetta di buon grado: “Piuttosto che diventare un fascista è meglio essere un maiale”

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