| Visite guidate

Foto della Visita alla Chiesa di Santo Stefano Rotondo al Celio – 27 Gennaio 2024

Prima che il giubileo del prossimo anno renda difficoltose le visite storico-artistiche alle chiese di Roma, iniziamo a visitarne alcune. Ieri ci siamo dati appuntamento a Santo Stefano Rotondo, una chiesa che… non lo sembra e che ha ingannato generazioni di studiosi con la sua forma imprendibile. Questa zona del colle Celio è un’area di notevoli stratificazioni e preesistenze: proprio sotto la chiesa di S. Stefano erano i Castra peregrinorum, la caserma dei soldati delle legioni provinciali distaccati a Roma; sotto la vicina Santa Maria in Domnica era la caserma della V coorte dei vigili. Entrambe le caserme erano dotate di un mitreo, e nell’ampia zona dove sorgerà l’Ospedale militare, c’era un complesso di domus gentilizie di diverse epoche che hanno restituito preziosi reperti tra i quali la statua di Agrippina Minore realizzata in basanite, oggi conservata alla Centrale Montemartini.

Questo lo scenario storico e archeologico che fa da sfondo e cornice al sorgere della prima chiesa martiriale “intramoenia” in onore del protomartire Stefano, le cui reliquie erano state ritrovate in Terrasanta nel 415. Emanuele Gallotta e Rossella Faraglia ce ne hanno illustrato gli aspetti architettonici, di decorazione pittorica e – non da ultimo – le peculiarità liturgiche.

Il vasto ambiente a pianta circolare ha una datazione certa per il rinvenimento di monete dell’imperatore Libio Severo (461-465). La forma richiama i templi a tholos dell’antica Grecia dedicati agli eroi, ma anche gli edifici di culto paleocristiano in Terrasanta. Ciò che lo rende un unicum è il fatto che nella pianta circolare risulta innestata un’ulteriore pianta cruciforme con 4 vestiboli collegati da deambulatori.

Emanuele ci ha presentato con dovizia di dettagli le varie fasi di restauro nei secoli, le peculiarità architettoniche delle colonne, dei relativi capitelli e delle finestre (ora parzialmente murate) sormontanti il tamburo. Ad un occhio attento non è sfuggita l’ampiezza originaria del diametro dell’edificio: 66 metri, maggiore di quello del Pantheon. Oggi ridotto per la demolizione dell’ambulacro più esterno.

Abbiamo inoltre scoperto che era una delle chiese a “rito stazionale”: al termine di un periodo di digiuno penitenziale i fedeli si recavano qui in processione per attendere alla liturgia di ringraziamento celebrata dal Papa (in altri luoghi dal vescovo).

Di grande interesse storico-artistico è la cappella dei Santi Primo e Feliciano, dove verso il 646, papa Teodoro I aveva fatto traslare le reliquie dei martiri. La nostra attenzione si è soffermata soprattutto sul mosaico absidale in cui, nonostante le precarie condizioni conservative e restauri poco accorti, ancora si percepisce l’impronta bizantina nel fondo oro su cui campeggia la croce gemmata, memore di quella donata da Teodosio II a Gerusalemme, la città santa all’epoca del mosaico ormai conquistata dagli Arabi. Le storie del martirio dei santi sono state affrescate molto più tardi, intorno al 1582, da Antonio Tempesta, nello stesso periodo in cui Pomarancio e Matteo da Siena eseguirono i trentadue affreschi del Martirologio, una delle caratteristiche per cui la chiesa è nota. Il ciclo corre lungo tutto il perimetro della chiesa, dipinto a fresco negli intercolumni tamponati per impedire che la chiesa crollasse. Sono accompagnati da iscrizioni (con numeri di riferimento) che ne spiegano le immagini, aiutando il novizio (la chiesa era dal 1580 del Collegio Germanico Ungarico) nel percorso di preghiera e di meditazione, secondo quanto raccomandava Ignazio di Loyola.

Immagini eloquenti per immediatezza narrativa anche se con alterna perizia compositiva. Non hanno goduto di buona stampa, e solo di recente si è riusciti a giudicarli criticamente all’interno delle determinanti storiche del periodo. Certo, Stendhal era inorridito davanti agli “spaventosi quadri di martiri” che potevano essere apprezzati solo dagli ignoranti, ma bisogna pensare all’immane potenza della chiesa militante controriformista, ben sicura dei propri fini ma non altrettanto dei propri mezzi, per comprendere pienamente le ragioni storiche di questa ben orchestrata propaganda martiriale.

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